A.C. 2660-A
Presidente, colleghi deputati, la strada più facile da seguire per alcuni continua ad essere quella lastricata di parole al vento, di continua delegittimazione dell'avversario di attacchi a chi la pensa in modo diverso dal proprio.
C’è questo, purtroppo, dietro l'ennesimo spot mediatico a cui abbiamo assistito in quest'Aula; e dico «purtroppo», perché dietro non c’è nient'altro: c’è solo una clamorosa assenza di visione e un vuoto assoluto di proposte.
Mi dispiace, ma è un lusso che proprio non ci possiamo permettere. Se prevalesse un atteggiamento così irresponsabile, il Paese precipiterebbe e a pagarne le conseguenze sarebbero milioni di italiani, milioni di lavoratori che, in questi anni, hanno fatto grandi sacrifici per consentirci di risalire la china e che oggi, finalmente, possono iniziare a vedere un ritorno per questo loro sforzo.
Lo dico non in tono roboante, ma lo dico con serena fermezza: noi non consentiremo a nessuno di riportarci indietro, noi continueremo con il nostro impegno per cambiare l'Italia. È un cambiamento che passa anche da qui: da un disegno di legge che è stato presentato dal Governo, dal Ministro Poletti, e che, a conferma del ruolo centrale del Parlamento, è stato modificato e migliorato in molte sue parti grazie al lavoro del Partito Democratico, grazie al lavoro – e desidero ringraziarli tutti quanti – delle deputate e dei deputati del Partito Democratico della Commissione lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Un testo che oggi verrà approvato senza essere passati per il voto di fiducia, un disegno di legge che rappresenta una svolta culturale, oltre che politica, sul tema cruciale della regolazione del mercato e dei rapporti di lavoro.
Ma voglio entrare subito in medias res, come si dice. Si è discusso molto dell'articolo 18, della sua abolizione, secondo alcuni, della sua modifica, del suo aggiornamento, per come la vedo io. Ma comunque la si pensi – vorrei dirlo all'onorevole Airaudo –, non è possibile fare mistificazioni. Per onestà intellettuale, andrebbe riconosciuto da tutti, che quella del Jobs Act è una pagina nuova che va letta per intero: non si può prenderne solo un pezzo a proprio piacimento. Cambiano le regole sui licenziamenti, certi, cambiano per i nuovi assunti, ma anche si dà vita ad una nuova generazione di diritti e di strumenti di tutele.
Riformare i contratti e gli ammortizzatori sociali significa occuparsi finalmente dei giovani precari e superare la distinzione insopportabile tra garantiti e non garantiti; significa tutelare più che i posti, cosa ormai impossibile, i lavoratori, cosa doverosa; significa proporre al Paese un nuovo patto per il lavoro, un nuovo compromesso fra flessibilità e sicurezza, fra impresa e lavoratori, che potrà non piacere, ma è del tutto evidente che, ormai, impresa e lavoratori sono sempre più uniti in una comunità di destino. E mi dispiace che, da questo punto di vista, senza mai aver visto fare nulla dalla Lega e da Forza Italia nel passato, sia arrivato un attacco come questo a chi sta tentando di fare dei passi in avanti sulla riforma del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Non è semplice, lo sappiamo, e non tutto avverrà dall'oggi al domani. Sarà sempre più facile dire per qualcuno che ci voleva ben altro, che bisognava fare di più, ma io voglio ricordare le parole di un giornalista, che di lavoro ha scritto molto prima di essere barbaramente ucciso un giorno di maggio di ventiquattro anni fa, che disse: «Il gradualismo, il riformismo, l'umile passo dopo passo sono l'unica strada percorribile per chi vuole elevare davvero la condizione dei lavoratori». Così scriveva Walter Tobagi e così dobbiamo fare oggi con il coraggio, la legalità e, al tempo stesso, la concretezza che solo il riformismo può avere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Quel riformismo che può cambiare le sorti di un Paese e, a volte, il corso della storia, quello che dà fiducia e speranza ad un popolo intero. Penso al riformismo di Roosevelt e del suo New Deal, che seppe superare la crisi terribile del ’29; penso al riformismo di Willy Brandt e di Olof Palme che, mentre si adoperavano per l’Ostpolitik e il disarmo nucleare, facevano progredire il welfare e le garanzie per i loro concittadini. Penso al riformismo che, negli anni Novanta, negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, è riuscito a coniugare e a tenere insieme crescita e giustizia.
Sono questi gli esempi a cui dobbiamo guardare; è questa la capacità di visione che dobbiamo avere se vogliamo che al passo che si compie oggi se ne possano compiere degli altri; se vogliamo essere davvero credibili; se vogliamo davvero aprire, finalmente, quel ciclo riformista che l'Italia non ha mai conosciuto.
Altro che thatcherismo, il riformismo, la sinistra è coraggio, è innovazione, è radicalità, è realistica possibilità, è cultura di Governo, è pragmatismo, è riconoscimento dei meriti insieme al rifiuto dell'ingiustizia. Questo è quello che noi pensiamo quando parliamo di sinistra. Certo, oggi c’è un elemento in più, questo elemento in più che dobbiamo tenere in considerazione è la velocità. Questo non significa torsione della democrazia, come qualcuno ha detto, questo significa che è la nostra società, che sono le nostre società che subiscono torsioni continue, che sono più aperte e più dinamiche che mai. Allora, può sembrare un paradosso, ma proprio per la complessità dell'epoca in cui viviamo è necessario che il fattore tempo assuma una rilevanza molto più grande rispetto a prima.
È vero, quindi, che, sulle questioni economiche e su quelle del lavoro, non è più tempo di trattative infinite, che non portano da nessuna parte; la concertazione, così come l'abbiamo conosciuta a partire dal 1993, ha permesso di raggiungere obiettivi fondamentali; oggi, però, abbiamo bisogno di una democrazia che sappia decidere di più e più rapidamente. Il punto è questo, sapendo, però, che, se da una parte non si può concertare senza decidere, non si possono neanche prendere le decisioni migliori e più efficaci senza un confronto con la società, senza un confronto con i corpi intermedi della società, anche senza un confronto con le inquietudini, le tensioni che si muovono nelle piazze. Tuttavia, deve essere chiaro: il vero confronto è quello che non prevede chiusure e atteggiamenti ideologici, è quello in cui nessun interlocutore può arrogarsi un potere di veto. Io penso che questo sia tanto più necessario in una situazione di crisi come questa che stiamo vivendo; ci vuole coraggio e responsabilità. Anche il sindacato, voglio dirlo, quando ha saputo fare così, quando ha avuto coraggio, ha scritto le pagine migliori della storia sua e di questo Paese.
La mia storia mi permette di non avere dubbi sulla legittimità di una scelta come quella dello sciopero generale, ma mi fa anche dire che le scelte più coraggiose per la vita del Paese in un passato sono state altre: penso a Bruno Trentin che, per salvare l'Italia dalla bancarotta, nel luglio del 1992 firmò l'accordo che implicava la fine della scala mobile e poi si dimise, pensando di essere andato oltre al suo mandato; penso a Luciano Lama che, nel 1978, promosse la svolta dell'Eur, dicendo, chiaro e tondo, che il salario non poteva più essere una variabile indipendente e che, per aggredire il dramma della disoccupazione, le altre rivendicazioni, comprese quelle salariali, dovevano aspettare. È di questo che c’è bisogno, di responsabilità e di coraggio; del coraggio di cambiare e di innovare, sfidando consuetudini e conservatorismo.
Noi democratici crediamo nelle riforme e ci battiamo per questo. La partita è aperta, di questa partita il Jobs Act è una parte; ci sarà poi la legge di stabilità che sarà il prossimo importante passaggio, una manovra a espansione qualificata, come l'ha definita il Ministro Padoan, perché prevede, tra le altre cose, importanti risorse proprio per riformare il sistema degli ammortizzatori sociali, perché è figlia della consapevolezza che creeremo davvero occupazione solo attraverso il sostegno alla crescita e la diminuzione della pressione fiscale per le imprese e perché, soprattutto, questa legge di stabilità ha l'ambizione di rimettere nel circuito la fiducia; fiducia che deve essere davvero il segno più importante quando noi guardiamo al PIL.
Ecco, è un cambiamento di rotta complessivo che riguarda anche l'Europa, un'Europa che noi vogliamo abbia sempre più un'identità politica e sociale diversa da quella dell'attualità e della rigidità dei conti. Ed è per questo, Presidente, che noi continueremo a lavorare per chi lavora, per chi fatica ogni giorno, per chi il lavoro non ce l'ha e per chi sogna di poter costruire una vita migliore per sé e per i propri figli. Continueremo a lavorare sempre per il bene e per il futuro del nostro Paese e di tutti i cittadini italiani ed è per questo che voteremo convintamente a favore di questo provvedimento.